Tundra e Peive, di Francesca Matteoni. Nottetempo, 2023 Recensione di Marisa Salabelle

Di solito non leggo fiabe; non sono particolarmente attratta da fate, folletti e spiriti dei boschi. Ma un’eccezione dovevo farla per Francesca Matteoni e il suo Tundra e Peive, uscito per Nutrimenti, di cui inaugura la collana Terra. Sono capitata in libreria proprio il giorno in cui è uscito, verso metà febbraio, e lui ha catturato la mia attenzione con la sua copertina rutilante di verdi e di blu, col suo strano titolo e naturalmente col nome dell’autrice, Francesca, che conosco fin da quando era una ragazzina e di cui ammiro da sempre la capacità narrativa e poetica, la lingua purissima, la sterminata cultura e la grande umanità.

Dunque chi sono Tundra e Peive? Un bambino e una renna, un folletto e un gatto, un’oca selvatica, un cane? Il fatto è che in questo racconto gli esseri che ne fanno parte mutano in continuazione, ci sono delle donne che diventano orse, delle orse che ritornano donne, un ragazzo con la testa di lepre, un uomo con l’ombra di lupo… Non è facile districarsi, anche perché da ogni parte spuntano rovi, cespugli, rami, foglie, spine che ti avviluppano, e si aprono precipizi e porte segrete che conducono chissà dove. E ci sono boschi e radure ma anche città, e in città gli alberi sono malati: dai loro tronchi spuntano spine di plastica, filamenti di nailon, uncini di ferro vecchio. Animali e umani si ammalano o mutano o sono semplicemente scomparsi: nemmeno i bambini si vedono più in giro. C’è giusto una ragazzina, si chiama Talia, o forse Aysa, e va in giro a seppellire animali morti; fa amicizia con Tundra e Peive, con Testadilepre e con Ramosecco, uno spiritello arboreo: insieme, non serve dirlo, affronteranno mille avventure.

Quello che emerge, dalla lettura di questo libro, sono alcune idee nette: una è quella che tutto muta e si trasforma, che si passa da una forma di vita a un’altra, che alcuni ne hanno memoria e altri no; di conseguenza, tutte le forme di vita hanno pari importanza e valore e possono scontrarsi e farsi del male ma possono anche aiutarsi l’un l’altra. Entrano in gioco le relazioni, quelle del sangue (genitori, figli, zie, che si perdono e si ritrovano e si perdono di nuovo) e quelle del cuore, tra le quali l’amicizia è la più pura. Analoga alla trasformazione è la morte, onnipresente in natura e nel destino umano, passaggio che alcuni compiono più di una volta perché sono più d’una le vite che vivono.

L’altra idea portante è quella del danno che gli umani possono arrecare al loro stesso mondo: le città abbandonate e invase dalla maligna malvaspina, le persone scomparse o racchiuse in tronchi trasparenti, i bambini e gli animali morti, le piante soggette a metamorfosi. Tutti questi elementi ci parlano di un mondo che noi uomini e donne stiamo alterando in modo drammatico. Nella fiaba, com’è giusto, c’è sempre una possibilità di riscatto, di rinascita, di ripopolamento: speriamo che ci sia anche per noi uomini e donne del XXI secolo.

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