Leggere scrivere non giudicare by Marcello Comitini

Dopo aver letto un libro, che sia una raccolta poetica, saggio, romanzo o testo filosofico, mi chiedo se durante la lettura ho elaborato pensieri miei personali o mi sono lasciato rapire dai sentimenti dell’autore, dal suo pensiero, dalla sua vita sino a dimenticare la mia e assumere la sua.

Se insomma ho riflettuto autonomamente, anche se sollecitato, o mi sono affidato a lui illudendomi di riflettere.

Me lo chiedo perché spesso rileggendo, nulla di mio ritorna, nulla che abbia mutato il mio modo di vedere la vita. E allora mi accorgo che ciò che ho provato a prima lettura era un passare da lui a me, come se avesse depositato il suo essere dentro il mio, come si deposita una valigia di un parente caro in un canto e lì rimane chiusa. Un ingombro insomma che resta estraneo se non per il volume che occupa e per quell’aria familiare, spesso affettiva, che lo circonda e che trabocca attraversando il cuoio che ne racchiude il contenuto.

Allo stesso modo guardando la copertina mi dico che l’ho letto e ne sento ancora il profumo e il filo conduttore che mi riconduce all’animo dell’autore e all’argomento trattato.

Aprendo il libro e iniziando nuovamente a leggere, torno a sentirne l’affinità con la mia vita e quel processo di penetrazione che già ho avvertito alla prima lettura. Adesso ho maggiore consapevolezza che è lui a parlare e non io, ne osservo la forma ne misuro la congruità e l’adeguatezza all’argomento, inizio a valutarlo criticamente, conscio che ogni valutazione è soggettiva.

Ma a questo punto sono assalito dal terrore di notare che è esattamente quel che faccio con i miei scritti.

Inizialmente mi sembra d’aver creato un capolavoro, ma rileggendolo, ne esamino la forma, la metto a confronto con il contenuto e, poiché l’ho scritto io, mi accorgo, o ho la presunzione di accorgermi, che è inadeguato alla forza dei sentimenti da cui è stato suscitato.

Provo a ritoccare qua e là, a correggere qualche espressione, a renderla più pregnante.

Ma resta dentro me come un’onda di disperazione per la mia incapacità di esprimermi compiutamente. Un’onda creata dall’immediatezza dei versi scritti.

Riflettendo successivamente su in ciò che ho scritto mi accorgo che esiste una parità fra il sentire e la parola scritta, che la forma e l’essenza sono indivisibili, che attraverso le mie parole è possibile conoscere la mia essenza, quella della realtà e del sentire umano.

Non mi chiederò se il mio scritto sarà giudicato dal lettore ma se nel lettore nascerà un rapporto tra il suo sentire e il mio, tra la realtà della sua vita e della mia. Non è al giudizio che presto attenzione. Non può che essere errato. Per giudicare un poeta non basta neppure conoscere la persona.

Ecco perché non sopporto i critici letterari, che siano tradizionali, rivoluzionari o reazionari. Dovrebbero essere dei profeti per poter valutare al di là del presente la validità o meno di un poeta. Essi invece ritengono di possedere una cultura e una conoscenza atemporali. La qual cosa permette loro di separare per mestiere la forma dal contenuto e imbottiscono la prima con il proprio pensiero, trovando così nel poeta in esame (perché di esame si tratta: promosso o bocciato) quel che essi si attendono da un qualsiasi poeta. La formazione non permette loro di abbandonarsi alla possibilità di accettare o rifiutare il rapporto indivisibile fra il sentire e la parola scritta. I critici sanno le accuse che vengono loro rivolte e si mettono al riparo esercitando il loro mestiere solo sui poeti che conoscono personalmente, che fanno parte della loro cerchia, che pertanto non li accuseranno.

Ho notato nei miei lettori la condizione che permette loro di accettare o rifiutare ma non di giudicare, perché  per giudicare non basta neppure, come già detto, una profonda conoscenza della persona.

In passato, qualche lettore mi ha giudicato e condannato, sentendosi offeso dal mio modo di pensare. Ha avuto il buon senso di auto esiliarsi dal mio mondo. Ne sono felice e, a distanza di anni, lo ringrazio ancora.

Inutile dire che il più sincero ringraziamento lo rivolgo a tutti coloro che mi seguono, che non mi giudicano, che condividono il mio “sentire” il mondo, anche se spesso mi fanno notare che il loro è molto diverso dal mio.

Un comentario en “Leggere scrivere non giudicare by Marcello Comitini

  1. Molti nel mio ruolo di editore cercano di giudicare ciò che producono, e io mi astengo. Credo che il lettore abbia questo diritto, che non mi esenta dall’avere un’opinione dentro di me. La lettura lenta e riflessiva ci rende più grandi Un saluto a te Marcello.
    juan re crivello

    Me gusta

Deja una respuesta

Introduce tus datos o haz clic en un icono para iniciar sesión:

Logo de WordPress.com

Estás comentando usando tu cuenta de WordPress.com. Salir /  Cambiar )

Foto de Facebook

Estás comentando usando tu cuenta de Facebook. Salir /  Cambiar )

Conectando a %s