
La scomparsa delle cose e degli esseri mi schiaccia al suolo, di nuovo. La mia stessa forma si riduce a poltiglia senza il sostegno dell’euforia, invertebrata.
Sento il mondo intriso di una violenza inconsapevole, credo sia nascosta dietro quella pellicola di bambini che si arrampicano, che scivolano giù, di fiori dappertutto, di terra calpestata da un pallone, di persone che conversano del niente, di sole mite, dietro l’ovunque è un brulicare di viscere vermiglie. Sotto alla patina dei sensi. Talvolta la violenza sbuffa fuori grazie alla velocità delle cose che corrono, guidate da persone che corrono. L’urto crea strappi sulla pellicola del reale ed ecco che il moto ondoso macchia il suolo.
Potrei rimanerne uccisa da un momento all’altro. Quella velocità di cose irresponsabili è pronta a saltare fuori. La sento contorcersi, eppure offro la nuca nuda al vento. Non mi resterebbe altro che il soffrire di più, definitivamente, per soffrire meno.
Nobilitare la vendetta a bisogno lecito, ma ho anche il presentimento che voglia truffarmi, lasciandomi credere di ottenere qualcosa per poi intrappolarmi tutta quanta al di là di quella pellicola.
Metti il collare, apri la porta. Apri la porta, togli il collare. Un odore di pelliccia calda fra le dita si fa più remoto giorno dopo giorno, c’è invece una macchia di sangue sull’asfalto, delle formiche in fila, il corpo inflessibile alla vita ritrovato al mattino, divenuto vuoto come un contenitore usato.
Adesso dobbiamo imparare a vivere lo spazio assieme alla tua assenza. Forse ci vorrà una vita intera.
Attendo la pioggia perché possa lavare via quella macchia dal mio sguardo. Sono ossessionata dalla pioggia che cadrà sul suo pelo rigido, semisepolto fra le foglie, nel bosco dietro casa.
Al mio gatto, ucciso.