Il sole non bagna Napoli, di Antonella Cilento (BEE, 2024) Recensione di Marisa Salabelle

Non conoscevo la scrittrice Antonella Cilento fino a che, un giorno dello scorso anno, non mi è capitato casualmente tra le mani, durante una delle mie incursioni in biblioteca, un libriccino edito da Aboca, che ha una collana dedicata alle piante. Si trattava di Solo di uomini il mondo può morire: un libro molto bello, tra il diario e il saggio, che racconta di passeggiate che l’autrice e il suo compagno usavano fare nella Foresta Regionale di Cuma, durante la pandemia di Covid, e spazia tra gli incontri inaspettati e curiosi, la rievocazione delle leggende legate al luogo, le riflessioni personali e le considerazioni relative alla questione ambientale.

È stato inevitabile, quindi, che comprassi Il sole non bagna Napoli, uscito di recente presso BEE. L’ho letto in un giorno, durante un viaggio in treno, e trovo difficile riassumerlo, perché sono tanti gli argomenti che tocca. Proviamoci. Il titolo, come prima cosa: oltre ad essere un omaggio al celebre Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, è anche piuttosto spiazzante, una delle più immediate immagini mentali che abbiamo di Napoli infatti è quella di una città piena di luce. L’autrice però, forse anche a causa di un distacco della retina dal quale è stata colpita e che le ha temporaneamente compromesso le facoltà visive, sceglie di mostrare al lettore gli angoli meno illuminati, i bassi, i sotterranei, i percorsi nel ventre della città. Napoli, dice, è stratificata, composta di piani e livelli diversi, che slittano e si confondono l’uno nell’altro. Percorrerla quindi significa scorrere da un livello all’altro, dalla luce abbagliante al buio, da un’epoca all’altra. Con l’aiuto dell’innumerevole schiera di poeti e scrittori che su di essa hanno scritto, Antonella Cilento ci conduce per mano negli aspetti più segreti e meno scontati di questa città e dei suoi abitanti. Dai quartieri del centro storico a Posillipo, dall’Ospedale degli Incurabili ai Campi Flegrei; da Virgilio a E.T.A. Hoffmann, da Luca De Filippo e il Natale di casa Cupiello a Ortese e Salvatore di Giacomo. «A ogni passo Napoli è palazzo, convento, chiesa.» Per ogni angolo di strada c’è una storia, un fatto di cronaca, una testimonianza.

Una lettura piacevole, interessantissima. Un solo, piccolissimo appunto. A pagina 106 si parla della chiesa del Gesù Nuovo: «entri e saluti Vincenzo Moscati, che abita qui con i suoi mobili, santo e medico.» Ecco, Moscati si chiamava Giuseppe, non Vincenzo: una distrazione, un refuso, sfuggito alla penna di Antonella Cilento e agli occhi dell’editor e del correttore di bozze. E se lo dico io, che di Moscati sono discendente, sia pure alla lontana, potete starne certi.

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