Henry Hathaway, la passione per il western by Raffa

Tipico professionista hollywoodiano, Hathaway fu sufficientemente versatile da rappresentare una garanzia di successo per i produttori. Era un artigiano della vecchia Hollywood, un regista capace di raccontare storie semplici, ma renderle sempre avvincenti grazie all’azione e alla cura per gli attori che sceglieva e sapeva mettere sulla scena. Poco apprezzato dai critici, realizzò tuttavia indimenticabili film di intrattenimento, che rivelano un ottimo gusto visivo e grande abilità soprattutto nelle riprese in esterni.

Il suo vero nome era Henri Leopold de Fiennes, nato a Sacramento il 13 marzo 1898 da una famiglia di attori. Lavorò nel cinema fin da bambino e continuò a recitare durante l’adolescenza, lavorando tra l’altro per la Universal Pictures, ma con lo scoppio della Prima guerra mondiale abbandonò momentaneamente il cinema, per poi tornare a Hollywood nel 1919. Negli anni ’20 collaborò come assistente alla regia con grandi autori dell’epoca, e fu anche assistente per la celebre scena della corsa con le bighe nella versione di Ben Hur del 1926.

A partire dagli anni ‘30, Hollywood gli assegnò la direzione di innumerevoli western (genere da lui prediletto), film d’azione e commedie. Di carattere scontroso, non aveva un buon rapporto con gli attori, anche se è nota la sua amicizia con Gary Cooper. I primi successi gli giunsero proprio con tre film interpretati da quest’ultimo: il dramma realista Rivelazione (1934), l’avventuroso I lancieri del Bengala (1935), per il quale ottenne l’unica nomination all’Oscar di tutta la sua carriera, e una bizzarra storia d’amore a sfondo fantastico, Sogno di prigioniero (1935), film amato dai surrealisti francesi per la carica di delirio romantico che contiene. Con Il falco del Nord (1938), chiuse la sua stagione alla Paramount, passando nel 1940 alla 20th Century-Fox, lo studio al quale resterà fedele per un ventennio.

Sul set de Il prigioniero della miniera, con Gary Cooper e Susan Hayward

Nel corso degli anni ‘40 firmò vari film polizieschi di genere noir; tra questi, il thriller Il bacio della morte (1947), storia di banditi newyorkesi interpretata da Victor Mature e dall’esordiente Richard Widmark, e considerata un classico del genere. Negli stessi anni, per il produttore Louis de Rochemont, diresse alcuni film in cui, utilizzando uno stile documentaristico, delineò vicende di spionaggio, come Il 13 non risponde (1947) e si ispirò a fatti di cronaca, come in Chiamate Nord 777 (1948) dove diresse James Stewart. La stessa tecnica di ripresa, asciutta e realistica, tornò nel film 14a ora (1951), imperniato sui tentativi per salvare un uomo deciso a suicidarsi e caratterizzato da una raffinata indagine psicologica. Conclusa questa fase influenzata dal Neorealismo italiano, tornò a dirigere film molto spettacolari, senza restare confinato in specifici generi, ma spaziando dal film di guerra al thriller.

Sul set di Tempeste sul Congo insieme a Susan Hayward

Anche l’avventura fu un genere frequentato da Hathaway, fondendo mistero ed esotismo con l’abilità di girare sempre in esterni, come in L’inferno nel deserto del 1941, Tempeste sul Congo del 1953, Il prigioniero della miniera del 1954, Timbuctù del 1957 e L’ultimo Safari del 1967. Nel 1953 realizzò Niagara, destinata a diventare una delle sue opere più famose, le cui atmosfere evocano quelle di Alfred Hitchcock: tipica vicenda basata sul ‘triangolo’ noir (la moglie, il marito, l’amante), vede Marilyn Monroe impegnata in un ruolo di dark lady.

Con Marilyn sul set di Niagara

I riferimenti a Hitchcock tornano anche in 23 passi dal delitto (1956), incentrato sulla figura di uno scrittore cieco che viene a conoscenza del progetto di un omicidio. Hathaway restò sempre legato al western, anche quando il filone cominciò a manifestare i primi segni di declino. Non rassegnandosi alla crisi del genere da lui prediletto, a esso dedicò, nella seconda metà degli anni ‘60, due nostalgici omaggi interpretati da John Wayne, I quattro figli di Katie Elder (1965) e Il Grinta (1969), che valse il premio Oscar a John Wayne.

Con Steve McQueen durante la lavorazione di Nevada Smith

E poi ancora nel 1966 aveva diretto Steve McQueen in Nevada Smith, nel 1968 Robert Mitchum in Poker di sangue, e infine nel 1971 diresse Gregory Peck ne Il solitario del Rio Grande. Hathaway aveva un pregio che all’epoca forse nessun regista possedeva, non aveva cioè una sua filosofia e non fu mai impegnato politicamente; si limitava a fare il suo lavoro e ad ogni soggetto che gli veniva proposto dalla casa di produzione a cui era legato in quel momento, diceva sempre di sì, non dava noie. Quando si cimentava in un’opera e ci metteva passione e tecnica, gli piaceva innovare a tal punto che spesso non gli importava neppure più il soggetto del film.

Con John Wayne e Claudia Cardinale sul set de Il circo e la sua grande avventura

Gli piacevano i personaggi sinistri, che spesso erano raffigurati nei suoi film gialli o polizieschi, ma la violenza che producevano veniva rappresentata in maniera amorale e doveva essere repressa. La cosa che più gli stava a cuore era narrare una storia nel modo più appassionante e drammatico possibile, anche utilizzando tutti gli elementi scenografici dei paesaggi che potevano concorrere a creare un’atmosfera e dare carattere ai personaggi. Il suo ultimo film, prima di ritirarsi, fu il thriller Los Angeles, squadra criminale del 1974.
Henry Hathaway muore a Los Angeles l’11 febbraio 1985, a 86 anni.

«Non è difficile fare un buon western, basta sapere come descrivere un torrente all’alba, una foresta di notte e delle rocce al crepuscolo»

FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – ciakhollywood – IMDb

(Link Raffa, blog Nonsolo cinema)

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