Immaginare / Grifoni e perteghe

By Gianluca Mantoani

A Castello Tesino, in località Celado, c’è un pascolo, un’altura che separa l’altopiano del Tesino, da Lamon, sul confine fra il Trentino e il Veneto. Qui fa la guardia ai venti il Grifone Vaia, la grande scultura di Marco Martalar, alta più di sei metri e composta da migliaia di frammenti degli abeti rossi che furono schiantati proprio dalla Tempesta Vaia nel 2018.

Il Grifone sta in guardia, severo, un po’ Leone di San Marco, un po’ Aquila Imperiale a presidiare i confini, ma le sue ali sono fatte per superarli.

Sembra lì per ricordare la consuetudine di queste genti, montanari abituati da secoli a spostarsi a piedi per sopravvivere come venditori ambulanti; di pietre focaie dapprima, e poi di merletti, di stampe e di carte colorate Remondini; di figure e alla fine anche di idee.

Sono arrivato qui non a caso, portato da una ricerca, seguendo a ritroso le tracce di mia nonna e quelle dei suoi fratelli, risalendo il filo esile della storia dei fratelli Boso, anarchici e socialisti, a modo loro perteganti, camminatori girovaghi come tanti altri loro compaesani, ma propagatori di un prodotto forse ancora più delicato e immateriale delle figure illustrate: la speranza in un mondo senza oppressi e senza oppressori, l’immagine di un mondo senza guerre e, infine, senza miseria.

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