Il seme nero by Altiero Righetti

Dago Weinstein posò la lametta sul marmo. Tolse la schiuma superflua con un panno bagnato: era morbido, caldo. Lo passò bene su tutto il volto: sotto il naso, alle basette, al collo. Con voluttà controllata. Sul volto pallido che riluceva ora al neon bianco dello specchio restava l’ombra di un paio di baffetti a spazzolino. Pur essendo una persona ferma e risoluta, rimirando la sua immagine allo specchio Weinstein fu attraversato da un brivido. Aveva il volto del Fuhrer.

Bussarono alla porta.

– Signor Weinstein, hanno appena comunicato l’esito delle urne. Complimenti: è il nuovo presidente dello Stato d’Israele.

– Grazie, Dina. Ti prego: fai entrare il notaio.

Qualche minuto dopo, comparve sulla soglia un uomo anziano, ben vestito. Tolse il cappello, poggiò entrambe le mani al bastone. Diede un’occhiata intorno: la tappezzeria blu e bianca con rifiniture dorate dominava l’ambiente e gli dava un’aria tutta marina. Il soffitto di legno a cassettoni spezzava l’incanto: un peso che incombendo dall’alto era soffocante. Il notaio era inquieto. Entrò. Qualcuno alle spalle chiuse la porta.

– Si accomodi pure, dott. Levi. Mi dia un minuto.

– Grazie, sig. Weinstein, preferisco stare in piedi.

– La prego di rivolgersi a me con il titolo di presidente. Avrà sentito le nuove.

– Certo: signor presidente. Mi perdoni: l’abitudine. I miei complimenti per la vittoria.

– Una grande vittoria, non le pare? In pochi ci davano per vincenti all’inizio della campagna elettorale.

– Ha letto la lettera?

– Non ancora, dott. Levi. L’ho fatta chiamare apposta. È lì, sul tavolino. La prego di leggerla.

Il notaio si avvicinò all’ottomana con passo malfermo. C’era odore di colonia.

– Ma è aperta!

Il pavimento schioccò del rumore secco di passi: scarpe importanti, da ministro. Weinstein emerse dalla soglia della porta attigua:

– È vero, l’ho aperta. Ma non ho avuto la pazienza di leggerla. Preferisco così, che sia lei a leggermela. La prego: non ho molto tempo.

Il notaio era livido. La mano con la busta prese a tremare. Cercò di controllare i nervi con un grande respiro, tenendo per qualche secondo l’aria nei polmoni, dissimulando il gesto. Poggiò cappello e bastone sull’ottomana. Seduto, aprì la busta: estrasse la lettera, spiegò il foglio. Ci siamo, Livia, disse tra sé. Guardò ancora Weinstein. Era in piedi, le mani in tasca. Con quei baffi era ridicolo. Levi scelse di alzarsi in piedi.

Figlio mio, figlio mio adorato,

non so se leggerai mai questa lettera. Qualcosa, dentro di me, si rifiuta di pensarlo. Ma un’altra parte – una parte oscura, che disprezzo, di cui sono vittima sempre, ogni giorno della mia vita – mi dice con bisbigli malevoli di aprirti il cuore, dirti la verità. Non sapendo risolvermi, ho pregato il dott. Levi di aiutarmi nel peso intollerabile di questo fardello. L’ho messo al corrente della situazione e gli ho chiesto, certo ingiustamente, di aiutarmi nella gestione di una situazione tanto delicata. Se leggerai la lettera, sarà una sua decisione: ma devi sapere che qualunque sia la causa, io ho piena fiducia nel dottor Levi. Ho deciso con fiducia di affidare a lui la mia vita, la nostra vita. Non avere dubbi sul suo operato, sulla sua persona. È solo grazie a lui che ho fatto tutto quel che era possibile fare per garantirti la legittimità di questa lettera, la sua autenticità. Questa lettera contiene infatti informazioni importantissime sulla tua persona: e io non so quale sarà la tua reazione. Non è stata per me una scelta facile: spero tu possa capirmi e perdonarmi. Sei mio figlio: non avrei potuto fare altrimenti.

La sera del 30 gennaio 1933 fui portata assieme ad altre ragazze in una camera all’ultimo piano del Reichstag. In Germania, a Berlino. Solo lì abbiamo scoperto che eravamo tutte ebree. Non conoscevo nessuna di loro: all’epoca, lavoravo in un pub di Monaco. Degli uomini erano venuti qualche giorno prima dicendomi di avere un’offerta di lavoro nella capitale. Mi era sembrata una buona opportunità: mi sono fidata. Al pub stavo bene, ma Berlino…

La stanza era grande: c’erano molti carrelli, vestiti ovunque, di tutte le fogge. Un lacchè ci chiese di sceglierne uno di nostro gradimento: avevamo mezzora di tempo. Disse che stavamo per incontrare il nuovo Cancelliere tedesco, Adolf Hitler. E altri esponenti del partito tedesco, come herr Goring ed herr Frick. Che avremmo fatto bene ad assecondare qualunque loro richiesta e di non fare parola con nessuno di qualunque cosa sarebbe accaduta. Del resto, nessuno ci avrebbe creduto: d’altronde, avrebbero saputo trovarci facilmente.

Ti risparmio i dettagli. Sappiamo tutti chi erano quei signori: dei nazisti. E noi delle ebree. Ci hanno stuprate barbaramente. E se non bastasse, quei maledetti avevano organizzato il tutto in una sorta di cerimonia. Non ho la forza né il coraggio di riportarti i dettagli. Del resto, non mi interessa parlarti di questo: sono cose che mi porto dentro e che lo so, prima o poi mi uccideranno. Ero l’unica di Monaco: le altre ragazze erano di Berlino, qualcuna della Westfalia. Puoi intuire il perché: Hitler aveva vissuto a Monaco, lo avevo visto più di una volta nel locale. Non aveva mai voluto presentarsi: preferiva come un vigliacco tenermi gli occhi addosso tutto il tempo; aveva iniziato a stuprarmi con gli occhi molto tempo prima. Ora poteva fare di me quel che voleva. E l’ha fatto.

Qualche settimana dopo, sono comparsi sintomi inequivocabili. Ero incinta. Puoi ora capire le remore di cui ti parlavo: avrei dovuto abortire? Ma io non sono un’assassina! Ho allora deciso di portare avanti la gravidanza fuori della Germania. Sono riuscita a fuggire e mi sono trasferita negli Stati Uniti. Sono stata costretta a lasciarti: non avrei potuto proteggerti nelle condizioni che ora conosci. E grazie al dottor Levi, ho poi scelto di gestire la faccenda nella maniera che ora sai.

Non so come reagirai a questa lettera: spero tu stia bene e tu abbia la forza di lasciarti tutto alle spalle. Non so come, non è facile, ma devi farcela. Se sei venuto a sapere queste cose è perché qualcosa di importante è accaduto nella tua vita. Qualcosa che rende necessario che tu conosca questa vicenda, che tu sappia. Ti prego quindi di affidarti al dott. Levi in tutto e per tutto: saprà aiutarti e difenderti come ha fatto con me.

Ti amo, figlio mio. Non poterti vedere, non poterti sentire, sentire il tuo profumo, mi distrugge. Ma ne ho paura. Ne ho sempre avuto paura. Posso solo una cosa: immaginarti. È la più grande consolazione della mia vita. Una vita che non riesco a non odiare. Ma tu… vivi nella libertà che mi è stata portata via. Vivi! Vivi anche per tua madre…

Tua per sempre,

Livia Wallenstein

– Era dunque a conoscenza del contenuto di questa lettera, dott. Levi.

– Sì. Sua madre era analfabeta: era necessario che si confidasse con qualcuno.

– Mi sembra che il suo rapporto con mia madre fosse qualcosa di più che una semplice procura.

– Ero molto affezionato a sua madre.

– Che sbadato – disse Weinstein dopo aver picchiettato in modo affettato il dito sulla bocca, come per cercare qualcosa da dire – ho dimenticato di radermi i baffi. Mi dia ancora un minuto.

Tornò in bagno.

– Signor presidente, cos’ha intenzione di fare? Mi permetta di tornare alla lettera: sono qui per lei e per l’amore che ho sempre nutrito per quella povera donna di sua madre. La prego di rendermi partecipe dei suoi piani, della sua vita. Lei è ora il presidente dello Stato d’Israele. Tutti gli occhi sono su di lei: è uno degli uomini più importanti del pianeta.

– Così mi lusinga, dott. Levi, ma non ha tutti i torti. È una posizione delicata, la mia: soprattutto in questi giorni.

– Cos’ha intenzione di fare?

– Perché ha deciso di recapitare la lettera proprio oggi? Naturalmente dovremo fare tutte le analisi del caso per capire se lei non stia mentendo, se non abbia inventato tutto per cercare di controllarmi in qualche modo. Mi dica, dott. Levi: le interessa la politica? Fa parte di qualche partito? Non è un po’ anziano per intraprendere questa carriera?

– Capisco i suoi dubbi, signor presidente. Ho tutta la documentazione necessaria qui con me: immaginavo avrebbe voluto vederla subito. Come le ho detto, non sono qui per me. Sono un notaio. Non sono che il depositario di una volontà. E l’affetto che nutrivo per sua madre può solo indurmi a maggior zelo. Ha detto bene: io sono vecchio. Lei, invece, ha una vita davanti: anzi, da lei dipendono le vite di un intero popolo. Un popolo glorioso come quello d’Israele. Lasci che sia un suo amico, un consigliere.

– La ringrazio, dott. Levi, ma io so perfettamente chi sono. Certo, questa storia… il figlio illegittimo di Hitler! Cos’è, uno scherzo? Eppure, le dirò, non sono scioccato. Ne ho già passate tante: nulla può più sorprendermi. Forse essere orfano significa questo. Non trova?

– È stato un uomo abile e forte. Anche sua madre lo è stata, con tutta sé stessa.

– Non ne dubito.

– Mi dica, la prego: cos’ha intenzione di fare?

– Quel che dovrebbe fare il presidente dello Stato d’Israele, dott. Levi. Difenderò il mio popolo.

– E come?

– Siamo in guerra. Sa come funzionano le guerre: c’è un nemico da sconfiggere, da distruggere.

– Ha dunque intenzione di continuare la guerra!

– Mi ha frainteso, dott. Levi: io la guerra la voglio concludere.

– Crede che sia così facile concludere un conflitto del genere?

– Un modo c’è…

– Che cos’ha in mente, un genocidio?

– Genocidio… è una parola grossa! Voglio solo vincere una guerra.

– Non ha imparato nulla dalla storia? Non posso crederci… proprio lei!

– È lei a non aver capito nulla della storia – esclamò Weinstein stizzito – lei e il resto dei democratici che ci hanno portato a questa situazione. Non c’è più nulla da chiedere al popolo ebraico. Il popolo ebraico ha già dato tutto. Il popolo ebraico non ha che da ricevere. E sappiamo benissimo che a questo mondo nessuno regala nulla: quel che ci è dovuto ce lo dobbiamo prendere da noi. Se per lei la storia ci insegna che gli ebrei devono essere gentili e premurosi, cioè ingenui e indifesi, esposti a una nuova aggressione, e solo perché hanno subito quel che hanno subito, è lei a non capire la storia. Non abdicherò alle mie responsabilità in nome di un pacifismo vile. Il popolo ebraico ha smesso di essere inerme. Ci eravamo dimenticati che Dio è con noi. Non lo dimenticheremo di nuovo.

– Dio è con noi…? Che discorsi sono? Lei è un pazzo!

– Sarà la storia a dire se sono un pazzo. Voialtri non sapete che dare dei nazisti a tutti coloro che non la pensano come voi. Vede dei campi di concentramento? Vede leggi discriminatorie? Dov’è questo nazismo di cui parla?

– Non ci sono ora. Chissà cosa sarà capace di fare!Sono stato un ingenuo a sperare di farle cambiare idea con questa lettera. Ho visto i toni che ha usato in questa campagna elettorale, ma speravo che una volta eletto avrebbe interpretato in tutt’altro modo il suo ruolo. Invece lei è quel che è: il figlio di Hitler! Se sua madre…

– Il seme dei fascismi – lo interruppe Weinstein urlando spazientito – il seme del nazismo è ormai inoculato in questo mondo. Non è stato il popolo ebraico a farlo. I germi si sono propagati: in tutti i popoli, compreso il nostro. Il mondo intero ne è contaminato. Il seme del nazismo prolifera in tutti i popoli, anche nel popolo ebraico: io ne sono la prova vivente.

– Ha gettato la maschera! Il seme dei fascismi non è l’unico seme sparso nel mondo! Quello è il seme del vittimismo, della barbarie! Cosa mi dice della pace, della diplomazia? cosa mi dice dell’atomica, del nucleare?

– Io non sono contro la pace. Sono pronto a dettare le condizioni di pace anche adesso. Ma non è il tempo della pace: si vis pacem, para bellum! È così dott. Levi: dai nemici c’è sempre qualcosa da imparare.

– Se sua madre sapesse chi è davvero!

Bussarono alla porta.

– Signor presidente, mi perdoni. Il suo discorso.

Weinstein uscì dal bagno: i baffetti erano scomparsi.

– Poggia pure sul tavolo, Dina. Volevo proprio parlarne con il dottore. Quanto abbiamo?

– 30 minuti, presidente.

– Bene. Lasciaci soli.

Weinstein attraversò la stanza e prese un sigaro da una scatoletta di legno intarsiato.

– Dov’è mia madre, dott. Levi?

– Sua madre è morta, presidente. Si è suicidata qualche anno fa.

– Come fa a sapere tutte queste cose? Lei era dunque l’amante di mia madre.

– Gliel’ho detto: volevo molto bene a sua madre.

– Eppure non è riuscito a proteggerla.

– Non sia sciocco, signor presidente. Sa benissimo che da certe cose non si può tornare indietro. Lei dovrà da oggi affrontare lo stesso smacco.

– Ha perfettamente ragione, dott. Levi – disse Weinstein procedendo verso il notaio – C’è solo una differenza. Non sono un tipo da suicidio. Io preferisco l’omicidio!

Agguantato con un balzo il cuscino della poltrona, Weinstein lo premette sul volto del notaio inerme, debole. Ogni tentativo di scuotere via il braccio fu vano: le braccia caddero riverse, cadde riverso il capo.

Weinstein prese la lettera: la bruciò. Aprì la finestra: era una splendida giornata e l’aria marina era calda. Stette sulla poltrona a fumare il sigaro: dopo un po’ bussarono alla porta.

– Signor presidente, ci siamo.

Weinstein si levò: accese la TV, cambiò canale. Spostò il cadavere del notaio sulla poltrona della TV. Prese il foglio con il suo discorso e uscì dalla stanza.

– Il notaio?

– Mi ha chiesto di poter assistere al discorso in TV.

– Mi è sembrato un po’ malaticcio: sta bene?

– È un uomo anziano…

Weinstein fu scortato fuori del palazzo. Condotto in piazza per l’acclamazione. Una folla festante lo attendeva sotto una pioggia di coriandoli bianchi e blu. Prese posto sul palco salutando la folla e stringendo le mani in segno di vittoria. Batté un colpo sul microfono. Calò il silenzio.

– Popolo d’Israele… è un onore essere il vostro presidente!

La folla scoppiò in un boato caloroso. Bandiere d’Israele presero a sventolare fieramente, nel rumore assordante delle trombette.

– Contro tutte le previsioni, noi abbiamo ottenuto questa grande vittoria. Una vittoria netta che siamo qui a festeggiare insieme. Una vittoria che dice chiaramente da che parte sta il popolo d’Israele. Il popolo d’Israele è con noi: perché noi siamo con il popolo d’Israele.

Altro boato. Questa volta, cavalcandolo:

– Lo siamo sempre stati e sempre vi staremo. Noi siamo il popolo d’Israele.

Stringendo in alto le mani in segno di vittoria, Weinstein invitava la folla a esultare. Gli applausi continuarono per un po’. Tornò il silenzio.

– Io sono fiero di questo paese, fiero di essere d’Israele. Nel momento di difficoltà, questo popolo è riuscito a prendere la decisione giusta. Ha scelto ciò che è materiale rifiutando ciò che è immateriale. Ha capito quali sono le cose importanti: un’economia responsabile, il welfare sociale, che ci impegniamo a garantire a tutti, ebrei e no. Soprattutto, il popolo d’Israele ha scelto la sicurezza.

Viviamo da giorni una situazione difficile. A dire il vero, viviamo una situazione difficile da anni. Da secoli. A quanto pare, il tempo delle vessazioni per noi non è finito: non basta essere stati scacciati da tutti i luoghi della terra. Qualcuno prova ancora a cacciarci via da casa nostra.

La folla scoppiò in un boato cupo, sinistro.

– A quanto pare è il nostro destino. E in ogni tempo, c’è sempre qualcuno che ci dice cosa fare. C’è sempre qualcuno che ci consiglia prudenza, quando con l’altra mano afferra il coltello che ci minaccia. Quale popolo ha cessato le ostilità dopo aver ricevuto attacchi barbarici? Nessuno. Io sono qui oggi per dirvi che non lo faremo neanche noi.

La folla esplose in un nuovo boato.

– Questo è il tempo della lotta tra civiltà e barbarie. Noi sappiamo da che parte stare.

Da ogni parte piovevano fischi assordanti.

– Ci chiedono di cessare il fuoco, di arrenderci alla barbarie. Il popolo d’Israele non lo farà: non finché ci saremo noi a proteggerlo. La Bibbia dice che c’è un tempo per la pace e un tempo per la guerra: questo è il tempo della guerra. Una guerra per un futuro comune.

Nuovo boato.

– Popolo d’Israele! Oggi tracciamo una linea. Una linea tra le forze della civiltà e le forze della barbarie. Ognuno decida da che parte stare: noi ci opporremo alle forze della barbarie fino a quando non avremo ottenuto la vittoria. Spero e prego che i paesi civili di tutto il mondo vogliano sostenere questa battaglia, perché questa battaglia è la vostra battaglia, la nostra battaglia. Se vinceranno loro, se vincerà il male, sarete voi il prossimo obiettivo. Saremo noi. Non è accettabile. Noi continueremo a combattere finché non vinceremo: e noi vinceremo!

Nuovo boato, dominato da urla e fischi.

– Qualcuno ci accusa di non pensare alla pace, di volere la guerra. Ma nel nome di chi parlano, queste persone? Parlano per difendere la nostra causa, la causa della civiltà? No. Parlano nel loro interesse. Temono conseguenze negative per le loro nazioni: per i loro popoli, le loro case, i loro figli. Come se i nostri figli, le nostre case, il nostro popolo non stesse subendo attacchi ignobili da forze malvagie e pienamente incivili. Dovremo ricordare a queste persone che cosa ha sofferto il nostro popolo? Dovremo ricordare a queste persone quel che noi abbiamo già patito, già sofferto? Il popolo d’Israele non deve nulla a nessuno. Il popolo d’Israele non ha che da ricevere. E questo è il tempo di riprenderci ciò che ci spetta. Non chiediamo che di stare dove siamo da sempre: nella nostra casa. Non chiediamo che una terra, la nostra terra promessa. Chi non riconosce questa volontà politica, questa nostra volontà politica, non ci lascia altra scelta: sarà considerato un nemico. Se qualcuno pensa che siamo un popolo di agnellini da sacrificare sull’altare della pace, si sbaglia. Israele sa benissimo cosa fare. L’ha imparato sulla propria pelle. Israele ha smesso di prendere lezioni.

Ecco allora quale sarà il primo atto di questo governo che ha intenzione di lavorare per la pace, al contrario di quanto affermano i detrattori: lanceremo un’operazione in risposta ai recenti attacchi terroristici che hanno coinvolto la nostra popolazione civile: i nostri padri, le nostre madri, i nostri bambini; i nostri amici, i nostri fratelli. Qualcuno ha osato e oserà ancora darci dei nazisti, io non so con quale coraggio. Noi siamo i nazisti? No di certo: noi li conosciamo bene, i nazisti!

Noi siamo il popolo ebraico, il popolo eletto. Noi non abbiamo dimenticato: Dio è con noi. Lo è sempre stato e lo sarà ancora in questa guerra. Dio è con noi. Questo ci hanno tramandato i nostri padri, i nostri antenati. Questa è la nostra cultura: Israele lotta con Dio e Dio lotta con Israele. Così è sempre stato e così sarà. Popolo d’Israele: questa è la nostra casa e noi qui siamo padroni! Ricordatevelo sempre!

La folla esplodeva in un boato definitivo, i cori inneggiavano al presidente. Weinstein lasciò il palco ed entrò in un’auto nera, governativa.

– Presidente, ho una notizia terribile: il dott. Levi è stato ritrovato senza vita nelle sue stanze.

– Capisco… di cosa si tratta?

– Sembra sia morto naturalmente.

– Non aveva una bella cera: tremava e tossiva, respirava a fatica, ma non avrei mai immaginato…  

– Le mie condoglianze, presidente.

– Grazie, Dina. Occupatevi dei funerali. Senza sfarzo: ma che siano patriottici.


Immagine in evidenza – Pierluigi Ciappi

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Un commento

  1. Racconto terribile, si sdrucciola sulla storia, parallelismi raccapriccianti, che rimandano indietro ad atrocità dello scorso secolo e bibliche.

    Come malauguratamente  biblico è il richiamo: 

    Ci eravamo dimenticati che Dio è con noi. Non lo dimenticheremo di nuovo” 

     “Dio è con noi…?”

    Osservando le recenti tragedie di sicuro non lo è …e basta con stereotipi luttuosi: “ si vis pacem, para bellum!  aiutiamo invece Caino e Abele perché ritornino fratelli capaci di risolvere senza armi le loro divergenze… obblighiamo i potenti a mutare decisamente rotta, a camminare verso il disarmo e se serve alzare bandiera bianca  perché no, milioni di persone meritano una esistenza pacifica.

    Se voleva scuotere ce l’ha fatta!

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