Altiero Righetti – Sconfitte

Di solito così seri e impegnati in alte elucubrazioni, eppure diversi poeti e intellettuali sono stati sorpresi e incuriositi dal gioco del calcio. Perché?

Già Leopardi rimase colpito dalle prestazioni di un pallonista, Carlo Didimi: era il primo Ottocento. Didimi fu un campione dello sferisterio, dove si giocava il pallone col bracciale, lo sport più popolare in Italia fino all’avvento del fascismo e ulteriore mezzo per tentare di unificare, poi, una nazione appena nata.

Un secolo dopo, il buon Saba, di lunedì, alzando la serranda della sua libreria antiquaria, era sempre sorpreso e incuriosito dell’umore del suo garzone, di volta in volta fatto lieto o misero dalle prestazioni della sua Triestina. Finì per accompagnarlo allo stadio, e da quell’esperienza il poeta trasse ispirazione per alcuni suoi componimenti.

Pasolini considerò il calcio addirittura nei termini di una vera e propria lingua, dotata di fonemi e stili espressivi: i calciatori sono le lettere, le parole il gioco, la partita il testo; esistono un codice condiviso tra scrittori e lettori, diverse possibilità espressive, dalla prosa alla poesia alle forme miste. Ce n’era per un saggio breve, fine e curioso, dato che attualmente metà della popolazione mondiale parla questa lingua.

Ma non un poeta è già riuscito a esprimere con parole convincenti le sensazioni che il calcio suscita nel giocatore e nel tifoso. Se è difficile trovare un poeta fra i calciatori, non dovrebbe essere impossibile trovarne tra i tifosi, che son tanti. Eppure…

Tra i giocatori c’è un ritornello: si ricordano con forza maggiore le sconfitte, non le vittorie. Cosa curiosa.

La vittoria: cos’è? È un premio, la ricompensa che è riconoscimento al proprio lavoro, all’aver lottato e sofferto, all’essere riusciti a cavalcare l’ippogrifo della fortuna; è la gioia, che permette di scaricare ed esorcizzare ogni sofferenza, acquietare i sensi. Questa gioia diventa presto qualcosa di simile alla felicità, intesa come persistente costanza di quel sentimento; una mera speranza, nei termini usuali, giacché ogni sentimento è mutevole e come un vento si alza per prima o poi calare. Ma la fama che lo sport garantisce, e in particolare il calcio che è il più popolare degli sport, è tale da rendere la vittoria leggendaria, e così i suoi protagonisti.

E la sconfitta? La sconfitta è invece un dramma, un trauma. È il contrario della vittoria, ma ha un impatto maggiore, sugli animi, realmente inesprimibile, inenarrabile. La sconfitta è senso di colpa, per non aver fatto il proprio dovere; è beffa, svolta sadica del destino, presa in giro, umiliazione; è atrofizzarsi della fatica, della sofferenza: stagna nel corpo, asciuga tra le fibre dei muscoli sfatti, lascia intime cicatrici, forma metastasi psicologiche. La sconfitta è angoscia, persistenza del sentimento della disperazione, ineluttabilità della storia. È ragione di pianto continuo, e più di una volta getta a terra uomini di genio che perdono sé stessi, che non si ritrovano, che dimenticano chi sono stati. La sconfitta è un labirinto, è una casa di specchi.

È solo un gioco, dicono. Lo era forse un tempo. Oggi il calcio è il teatro antico dei greci e di Shakespeare, e non a caso Pasolini parlava di dramma. Il calcio è infatti drammatico: v’è la commedia, v’è la tragedia; e se ci dimenticheremo facilmente delle nostre gioie, cristallizzate nella storia e nella leggenda, non dimenticheremo con facilità le nostre lacrime, nelle quinte della ribalta, mentre fuori si festeggia.


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4 commenti

    • Io ho giocato a calcio per oltre 10 anni, difficile per me quindi, anche se decisamente meno rispetto ad un tempo, seguirlo con un certo interesse e malinconico trasporto. Ma condivido con te, (Altiero sa essere convincente) potrei riappassionarmene decisamente anch’io 😀😉

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