Quando la moglie è in vacanza (1955) by Raffa

Una delle immagini più iconiche della storia del cinema è quella di Marilyn in piedi sopra la grata della metropolitana di New York, mentre lascia che il suo vestito si sollevi e mostri le sue splendide gambe. L’immagine proviene da questo film, una commedia che affrontava il tema dell’infedeltà in modo rivoluzionario per l’epoca. E per apprezzarlo, prima di gridare al maschilismo o sproloquiare di patriarcato, si deve comprendere il periodo in cui è stato concepito.

Nella Manhattan degli anni ’50, era normale per gli uomini mandare mogli e figli in vacanza durante i mesi estivi, mentre loro restavano al lavoro nel caldo soffocante della grande città. E molti non vedevano l’ora che moglie e figli se ne andassero per potersi godere un po’ la vita da scapolo e fare tutte quelle cose che le consorti vietavano: fumare, bere, giocare d’azzardo con gli amici, e ovviamente flirtare con altre donne. La voce fuori campo del narratore ci presenta uno di questi fortunati mariti, Richard Sherman, che ha appena salutato moglie e figlio alla stazione. Una volta libero, Richard inizia una feroce battaglia con la sua coscienza: da una parte non vuole cedere alla voglia di bere e di fumare, dall’altra non riesce a resistere.

E se ciò non bastasse, quando rientra a casa, scopre che è arrivata una nuova vicina al piano di sopra, che ha le forme prorompenti e il sex appeal di Marilyn Monroe. Insieme berranno e si divertiranno parecchio. Riuscirà Richard a rimanere fedele alla moglie lontana? Un tema scottante, considerando il codice Hays che censurava i prodotti cinematografici. Il film doveva essere, nelle intenzioni di Wilder, l’adattamento della commedia teatrale omonima di George Axelrod, ma per arrivare sul grande schermo era necessario ritoccare i dialoghi e la storia, perché superassero il visto della censura: nell’opera teatrale, infatti, il protagonista tradisce effettivamente la moglie, mentre nel film i suoi eccessi si limitano a vivide fantasie, che rendono il film una commedia godibilissima anche oggi.

Wilder e Axelrod, che lavorarono insieme alla sceneggiatura, pensavano che fosse un peccato eliminare alcuni dialoghi, soprattutto certe battute a doppio senso, perché erano gli elementi più divertenti della storia, ma non ebbero scelta. L’elemento comico è soddisfatto dal personaggio di Sherman, dotato di una fantasia prodigiosa, che si traduce in visioni spassosissime sull’adulterio e, in molte occasioni, ricrea nella sua mente situazioni divertenti, tratte dai romanzi che pubblica, o da scene famose di film.

La ragazza, da parte sua, ci mette una sensualità inconsapevole e un’ingenuità disarmante. A quanto pare, Billy Wilder avrebbe voluto un allora sconosciuto Walter Matthau per il ruolo di Richard Sherman, ma i produttori non vollero correre rischi e diedero il ruolo a Tom Ewell, che aveva interpretato il personaggio in teatro. E questa fu senza dubbio la sua più grande interpretazione per il cinema. E’ il perfetto impiegato anonimo e sbiadito, vittima dei suoi stessi sensi di colpa, che sogna avventure impossibili, ben sapendo che al dunque non avrà il coraggio di arrivare in fondo. Perché in fondo ama la propria moglie e ne è addirittura geloso.

Nel ruolo femminile, invece, la scelta cadde su Marilyn Monroe e Wilder la voleva così tanto per quel ruolo che accettò con infinita pazienza tutti i suoi capricci da diva: spesso, infatti, arrivava sul set in ritardo e molte volte non ricordava le battute. Ma la scelta si rivelò vincente: il contrasto tra la bionda esuberante e il pallido e un po’ noioso Tom Ewell è schiacciante. Marilyn fa un ottimo lavoro nei panni del personaggio che più ha interpretato nella sua carriera, la bionda stupida e tutta curve, ma dimostra di avere anche talento e ottimi tempi comici.

È un peccato che il suo personaggio non sia meglio sviluppato nella sceneggiatura, a differenza di quello maschile, molto più tridimensionale. Ma nel complesso Wilder ha fatto del suo meglio, trasformando un testo teatrale pruriginoso (il titolo originale era Il prurito del settimo anno) in una commedia spensierata e leggera, con qualche bella battuta qua e là, e un finale rassicurante. Nonostante l’impianto teatrale, per cui il film è quasi interamente girato in interni, l’atmosfera bollente di un’estate afosa è ricreata molto bene, tra aria condizionata, bevande ghiacciate e vasche da bagno rinfrescanti.

Di certo non è il miglior film di Wilder, soprattutto se confrontato con l’ironia pungente de L’appartamento, e neppure la miglior interpretazione di Marilyn, e anche se oggi sembra un film abbastanza ingenuo, che non ha resistito del tutto alla prova del tempo, rimane comunque una pellicola da guardare almeno una volta nella vita, non fosse altro per vedere la mitica sequenza che ha reso Marilyn immortale.

Ogni volta che rivedo il sorriso solare di Marilyn, che cerca inutilmente di coprirsi, ripenso a quanto le costò quella scena. La sequenza fu girata come trovata pubblicitaria proprio nel centro di New York, con migliaia di spettatori curiosi che volevano intravedere la Monroe. Purtroppo Marilyn continuava a dimenticare le battute e la scena dovette essere ripetuta decine di volte. Ad assistere c’era anche Joe DiMaggio, il campione di baseball che aveva da poco sposato la diva, ed era gelosissimo di lei: non sopportava che tutta quella gente stesse lì ad ammirarla in quelle pose, e a un certo punto se ne andò rabbioso. Il giorno dopo Marilyn si presentò sul set con occhiali scuri che coprivano i lividi: sembra che DiMaggio l’avesse picchiata selvaggiamente. Il resto è storia: il matrimonio finì con il divorzio a soli nove mesi dalle nozze, e da un uomo sbagliato all’altro, Marilyn sprofondò nella depressione.

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