
Sporcarsi le mani per accaparrarsi il potere, varcare la soglia, oltrepassare il confine avrebbe significato perdersi per sempre. Da certi viaggi non c’è ritorno. (..) Fino a dove resta salda la nostra volontà, chi è che parla dentro di noi quando diciamo no? E’ una costruzione sociale la nostra capacità di controllo?La buona condotta, pag. 193
La buona condotta, di Elvira Mujčić, Crocetti editore 2023, pp. 240
Nata nel 1980 nell’allora Jugoslavia, Elvira Mujčić ambienta il suo nuovo romanzo nella Repubblica del Kosovo, nel cuore della penisola balcanica. Il Kosovo, con la conclusione della seconda guerra mondiale divenne parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, come provincia autonoma della Serbia, mantenendo una certa autonomia amministrativa e culturale a causa della sua diversa identità non slava, ma non paritario con le sei repubbliche costituenti (Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Macedonia) le quali avevano il diritto costituzionale di secessione; proclamò unilateralmente l’indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008; quest’ultima dichiarò immediatamente di non riconoscerne l’indipendenza, accolta invece da numerosi Stati, tra cui l’Italia. Al 2021 l’indipendenza è riconosciuta da 98 Stati membri dell’ONU su 193. Di fatto, si tratta di un territorio autogovernato sotto il protettorato delle Nazioni Unite rivendicato dalla Serbia. La maggior parte della popolazione è di lingua albanese, ma le lingue ufficiali sono albanese e serbo; il serbo è parlato principalmente dalla minoranza serba nei distretti settentrionali, in alcuni luoghi della capitale, Pristina, e nelle enclavi serbe.
Gli albanesi si fidavano di lui per lo stesso identico motivo per cui i serbi lo guardavano con sospetto: durante la guerra degli anni Novanta aveva disertato. Se ne era andato in Germania; un codardo col culo al sicuro, chiosavano i serbi, un uomo retto, con una coscienza vigile, sostenevano i suoi amici albanesi.La buona condotta, pag. 31
Il romanzo è ambientato in una piccola enclave serba in territorio kosovaro, Šumor (che tradotto in italiano significa “bisbiglio”). Si avvicinano le elezioni e un medico di etnia serba, Miroslav, decide di candidarsi a sindaco, con un programma di riconciliazione che sollecita l’appoggio della comunità albanese, una specie di rivoluzione gentile, da contrapporre alla narrativa conflittuale che infiamma gli animi. Miroslav – fedele al suo nome, che significa “colui che onora la pace,”, come ci informa l’autrice – è un uomo che non ama i conflitti, tantomeno le derive nazionaliste dei suoi concittadini serbi; alla vigilia delle votazioni è quasi pentito di essersi candidato, mille dubbi affollano la sua mente. Sostenuto dalla moglie Nada (“speranza”), dall’assistente Ljubiša (un ludopatico un po’ svitato), dall’amico Zdravko (“colui che è in salute”) che torna appositamente al paese per le elezioni, dalla di lui sorella Ludmila (“cara alla follia”), Miroslav sa che la sua è probabilmente una causa persa in partenza.
Da almeno vent’anni quella gente era immersa nel cosiddetto linguaggio dell’odio e visto il risultato del comizio, era chiaro che la strada sarebbe stata lunga, bisognava disabituare a certi cortocircuiti del pensiero, aprire nuovi percorsi. (..) A forza di vivere isolati, gli abitanti di quel posto non erano più capaci di processare pensieri e idee diversi da quelli che andavano sentendo e ripetendo da anni. Lo vedeva in quei loro occhi sbarrati e negli sguardi gretti.La buona condotta, pag. 32
Sorprendentemente, Miroslav vince le elezioni; elezioni che Belgrado prima di tutto non riconosce – non riconoscendo l’indipendenza del Kosovo – e, in secondo luogo, non accetta un serbo che vuole andare d’accordo con gli albanesi. Così da Belgrado mandano un sindaco scelto da loro, un antagonista riscattato dalla pena che sta scontando in galera per motivi poco chiari, ex combattente – lui sì – della guerra degli anni Novanta. Nebojša, – originario proprio del posto, da cui se ne era andato da bambino -, si materializza in paese e il suo arrivo si traduce in un immediato intervento in difesa della comunità serba: il piccolo cimitero è stato messo a soqquadro e chi può essersi macchiato di un atto così vile se non gli albanesi? Il suo primo discorso, pronunciato sulle scale del comune dinnanzi ad una piccola folla, infiamma gli animi che non aspettavano altro, creando così una netta contrapposizione con il sindaco eletto, Miroslav, ormai totalmente delegittimato agli occhi della comunità serba.
(Miroslav) Soffriva nel vedere i suoi compaesani, che non erano mai stati da nessuna altra parte, accettare la folle situazione in cui vivevano come fosse una condanna inesorabile e tutto sommato normale. Che ci vuoi fare, qua da noi è così, si autoassolvevano tutti in coro.La buona condotta, pag.60
L’arrivo di Nebojša (“colui che non ha paura”) offre ai serbi l’opportunità di ribadire le proprie istanze ma, al contempo, stravolge le vite dei protagonisti. Quella di Miroslav, il sindaco eletto, che si chiude sempre più in se stesso, arrivando addirittura – lui che era descritto come un uomo buono – a nutrire dei sentimenti di odio nei confronti del sindaco mandato da Belgrado; totalmente sfiduciato di potere contrastare la retorica della violenza che fomenta la gente, le manipolazioni a scopo politico che recidono ogni speranza di pacifica convivenza.
Quella di Nebojša stesso, spedito dalla capitale per fare l’antagonista obbediente e salvarsi da un passato pieno di ombre, e che invece fa deflagrare gli ingranaggi di un sistema assurdo. Acclamato al suo arrivo perché considerato un vero serbo, sarà oggetto di un capovolgimento nei consensi, fino addirittura ad essere minacciato.
Quella di Ludmila (soprannominata da Nada e Ivana “un juke-box di storie”), la ragazza che credeva nell’amore e per questo era stata considerata pazza, Ludmila che si difende dalla realtà mandando a memoria le date significative delle vite degli altri e inventando filastrocche. Per lei vivere lì significa non potersi liberare dal passato, non potersi scrollare di dosso la nomea che le è stata affibbiata; anzi, per difendersi, deve recitare la parte della pazza, rimanere incollata al suo ruolo, sperando che questo distolga l’attenzione dalla sua voglia di vivere. Contro ogni sua aspettativa, l’incontro con Nebojša le offre la possibilità di sperare in una svolta nella sua vita.
Quella di Nada, la moglie di Miroslav, che si ritrova accanto ad un uomo che fatica a riconoscere, un uomo a cui non riesce più ad imporre la propria volontà. Scollata dal ruolo di moglie e di madre, in conflitto con i figli che se ne sono andati a Belgrado a studiare, sente vacillare il terreno sotto i piedi, fino ad arrivare a prendere in considerazione di lasciare Miroslav e rifarsi una nuova vita.
Quella di Zdravko, che se ne era andato dal paesello in cerca di una vita diversa, e che l’aveva trovata, pagando il prezzo del rimorso per avere abbandonato la madre e la sorella, che aveva persino minacciato il suicidio se non l’avesse portata con sé, e che invece si era presa sulle spalle la cura della madre, standole accanto fino alla morte, mentre Zdravko non era tornato nemmeno per il funerale. Anche lui vive le stesse angosce di Miroslav rispetto alla possibilità concreta di un cambio di mentalità dei suoi compaesani; in quei giorni, colto dall’ennesimo attacco di panico, capisce che non potrà mai più tornare a vivere lì.
A partire da un fatto realmente accaduto, Elvira Mujčić dà vita a una storia emozionante dove i personaggi combattono per sfuggire il destino che la Storia, la politica o i benpensanti disegnano per loro. Il passato recente, la guerra mai capita e mal conclusa, i rancori e le manipolazioni pesano su di loro, che però lottano per rimanere fedeli a sé stessi. Mostrandoci così che un futuro migliore può sempre sorgere anche nelle condizioni più avverse, grazie a singoli uomini e donne, a dispetto dei governi.
Trasportandoci in un Kosovo che assurge ad altrove metaforico, simbolicamente esemplare di tutti conflitti legati ai nazionalismi e alle strumentalizzazioni politiche, Elvira Mujčić scrive un romanzo molto coinvolgente, ricco di spunti di riflessione, popolato da personaggi sviluppati con profondità e ben a fuoco, un romanzo che tocca con profondità e delicatezza tematiche drammatiche – come dimostrano i tanti conflitti in atto nel mondo – imbastendo un intreccio carico di suspence, dove davvero ad ogni pagina ci si aspetta che la situazione precipiti e chissà cosa potrà accadere, pagine attraversate da un sottile filo di ironia, quasi un sorprendersi di come non si riesca a capire dove sta l’errore su cui vengono costruiti castelli di bugie. Il punto di vista sui fatti è sempre quello serbo, poiché i personaggi sono tutti serbi; mi ha incuriosito la nota iniziale, il “Nomen Omen” che l’autrice ha premesso e che fa riferimento all’usanza serba di dare nomi benaugurali ai bambini.
Il romanzo, oltre al valore letterario, ha tanti altri pregi, come ad esempio aiutare chi non proviene dai quei territori a capire di più: ad esempio, attraverso i pensieri di Miroslav quando cerca di analizzare come si è giunti a quella situazione di odio e di continua conflittualità; o nel lungo monologo diNebojša, quando rievoca i tempi prima della dissoluzione della Federazione, quando la vita sotto il comunismo sembrava più facile, le decisioni venivano prese dall’alto e bastava avere pazienza poiché, alla fine, le cose si risolvevano.
Il comunismo era bello perché dettava un tempo lento, era come il rassicurante gocciolare di un rubinetto che nessuno si prendeva la briga di aggiustare perché in fondo poteva funzionare anche così. Non tutto doveva essere perfetto, certe imperfezioni sono il bello di un’ideologia, la rendono reale.La buona condotta, pag. 70
Riporto le parole che Gad Lerner ha scritto nel candidare il libro al Premio Strega, parole che riassumono perfettamente l’essenza del romanzo.
Proposto da Gad Lerner al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Il rinforzarsi dei nazionalismi etnici o di altre identità armate le une contro le altre. La velocità micidiale con cui i messaggi d’odio viaggiano sui social media. La frustrazione di chi, invece, spendendosi per la convivenza pacifica rischia di finire tra due fuochi. Questi problemi, ovunque terribilmente attuali, in certi angoli del mondo ci paiono endemici. Tra questi i Balcani, dove si svolge La buona condotta di Elvira Mujčić. Un romanzo che si divora con grande ammirazione per il piglio sicuro da vera narratrice con cui Mujčić è riuscita a trattare questi temi ingombranti. Un intreccio pieno di suspence e di sorprese. Personaggi dotati tutti quanti delle loro ragioni e di spessore caratteriale. Ironica intelligenza delle cose umane, troppo umane. Dopo aver letto questo libro, anche il piccolo paesino del Kosovo conteso da due sindaci farà parte dei microcosmi destinati a restare nel cuore e nella mente dei lettori. E così pure la consapevolezza che per i nazionalismi beceri l’entrata in scena di una scrittrice come Mujčić rappresenta una sconfitta sul campo della letteratura italiana.»
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Elvira Mujčić, nata nel 1980 in Serbia. Trasferitasi a Srebrenica, in Bosnia, vi ha vissuto fino all’inizio della guerra, nel 1992. Risiede in Italia da più di vent’anni e lavora come scrittrice e traduttrice letteraria. Nel 2007 ha firmato Al di là del caos. Cosa rimane dopo Srebrenica, un diario di viaggio che è un urlo contro l’orrore di un efferato genocidio della storia recente, consumatosi l’11 luglio 1995.
Laureata in Lingue e Letterature straniere, è autrice dei romanzi E se Fuad avesse avuto la dinamite, La lingua di Ana, Dieci prugne ai fascisti (Elliot edizioni, 2016). Ha tradotto in italiano Il letto di Frida di Slavenka Drakulić (Baldini Castoldi Dalai), Il nostro uomo sul campo di Robert Perišić (Zandonai editore) e Il dono d’addio di Vladimir Tasić (Zandonai editore). Ha curato la traduzione del cartone animato Draw not War e del documentario La periferia del nulla di Zijad Ibrahimović (Ventura Film). È coautrice dello spettacolo teatrale Ballata per un assedio debuttato al Festival Teatrale Borgio Verezzi (2010). Per Chiassoletteraria 2013 ha scritto lo spettacolo I quaderni di Nisveta.