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Pubblicato il 1 maggio 2021 da marisasalabelle

Il Primo maggio ci fu la processione di sant’Efisio. Alle sette del mattino, issata su un camioncino Fiat 1100, alla presenza di uno sparuto gruppo di persone, la statua del santo, coi lunghi riccioli e il pizzetto spagnolesco, il viso paffuto da bambino incorniciato dall’aureola, il mantello rosso sopra la corazza, le braccia aperte in un virtuale abbraccio, fu prelevata dalla chiesa a lui dedicata, nel quartiere di Stampace, e portata in giro per la città spettrale. Niente carri né fiori, quell’anno, niente donne in costume tradizionale; niente musica e balli. Poche migliaia di persone vivevano ancora a Cagliari: in giro non c’erano che macerie, edifici squarciati di cui si vedeva l’interno, rare persone che andavano di fretta ognuna per la sua strada. Il Santo percorse le vie del centro, guardando esterrefatto le rovine della sua città, abbracciando idealmente tutti i suoi concittadini e protetti, facendosi strada a fatica tra montagne di sassi e travi che ingombravano la strada. Piano piano dietro al furgone del latte che portava la statua si formò una coda di uomini in abiti dimessi e di donne col fazzoletto in testa; anche bambini si aggiunsero, e scorrazzavano tra le gambe degli adulti e le ruote del camion. Quando il piccolo corteo fu arrivato alla stazione ferroviaria, un lato della quale era crollato, Generosa scese in strada e si unì alla processione insieme a Eufemia. Le ragazze e i bambini rimasero in casa, i piccoli ancora dormivano. Generosa era grossa, il tempo del parto si avvicinava. Il giorno seguente, all’alba, la famiglia Zedda partì per Sanluri, dove la famiglia che Ruggero conosceva aveva preparato due camere in cui ospitarla.

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